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Il capitalismo della sorveglianza



Il “protagonismo culturale” dei dati e la loro quantificazione, insieme alla profilazione continua degli utenti e al potere delle piattaforme fanno da sfondo del concetto oggetto del contributo. Come ci ricorda Stefano Pasta, «questo ha portato alla teorizzazione di nuove forme del capitalismo, tra cui capitalismo della sorveglianza (Zuboff), capitalismo delle piattaforme (Srnicek), capitalismo digitale (Schiller), capitalismo Candy Crush o del desiderio (Brown, Fisher), capitalismo dei nuovi media (Gehl), capitalismo cognitivo (Moulier-Boutang), capitalismo dei big data (Chandler, Fuchs), capitalismo estrattivo (Mezzadra), capitalismo immateriale (Quintarelli), capitalismo algoritmico (Eugeni)» (Pasta, pp. 56-57).

Ci soffermiamo sul primo concetto, che deriva dal lavoro della Zuboff, professoressa alla Harvard Business School, le cui riflessioni partono da una considerazione: sono moltissimi i dati che ci raccontano, cioè che sono associati al nostro profilo (informazioni che sono caricate e conservate dalle piattaforme) e questa condizione sposta proprio sulle piattaforme il baricentro del potere. Il termine era apparso precedentemente con altro significato nei lavori di Foster e McChesney nel 2014 (Monthly Review). Secondo l’autrice il processo di compie in primis attraverso l’appropriazione dei “diritti cognitivi”, processo per cui le aziende del Web - soprattutto le multinazionali codificate nella sigla GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) o GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) - usano gli utenti come grande miniera da cui estrarre, a titolo gratuito, dati che si riferiscono ai comportamenti (di acquisto, legati alla visione e alle scelte che ci causano piacere) e che diventano di loro proprietà privata.

#DATI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, #Pillole Teoriche,
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Allegati

- Capitalismo della sorveglianza.docx.pdf


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